L’ausilio più appropriato per la “mobilità e l’autonomia per chi non vede, di Giustino De Matteis, Tiflologo

Coloro che hanno visto “A PRIMA VISTA” – un bel film prodotto nel 1999 e diretto da Irwin Winkler, con interpreti protagonisti Val Kilmer e Mira Sorvino – ricorderanno sicuramente che Steven Weber, titolare dell’omonimo studio di architettura, ironizzando con l’ex moglie che aveva conosciuto un giovane massaggiatore non vedente, esclamasse: ….. – “Intendi dire: cieco, cieco? Con gli occhiali scuri e il bastone bianco…? tap… tap… tap… che se ne va in giro per la città”???

Spesso è proprio questa la considerazione di tante persone che vedono, quando s’imbattono con altre prive della vista con in mano un “bastone bianco” che dispensano, in maniera indebita, “colpi da orbi” a destra e a manca. Probabilmente è questa (o, almeno, a me piace credere che sia questa) la ragione secondo la quale tante persone, per non subire bastonate nelle gambe, si scansano come se si fossero imbattuti in un “untore della peste bubbonica”.

Affrontando l’argomento del bastone bianco – da qualcuno ritenuto inappropriato, irrilevante o, addirittura, di scarso aiuto – si cercherà di rispondere ad alcune ricorrenti perplessità, provenienti non soltanto dalle stesse persone prive della vista che si approcciano per la prima volta, con cautela e perplessità, all’uso di tale ausilio, ma anche dai tanti genitori ed operatori del mondo della scuola.

Diciamo subito, allora, che l’approfondimento dell’argomento ha come primo scopo quello di spronare chi non vede ad acquisire la necessaria padronanza e sicurezza nell’orientamento spaziale-immaginativo, rimuovendo la titubanza che, spesso – per paura di affrontare eventuali inconvenienti derivanti da una deambulazione in assoluta autonomia – preferiscono starsene comodamente in casa o farsi “trascinare” per un braccio dalla pietosa improvvisazione di altri. L’altro aspetto del presente scritto, però, è anche quello di rimarcare che la persona priva della vista possiede le medesime prerogative intellettive di qualsiasi altro essere umano e che, se educata ad ottenere il massimo risultato dai suoi sensi residui, può conseguire anch’egli una straordinaria autonomia personale.

Sono in tantissimi, infatti, coloro che hanno avuto la costanza e la determinazione di conseguire tale traguardo, sfatando il pregiudizio che vorrebbe il privo della vista andarsene a zonzo per la città senza una meta precisa, indossando i tradizionali occhiali scuri e picchettando con il bastone sul selciato, così come supposto da Steven Weber nel film “A prima vista”.

Non intendo assolutamente invadere il campo professionale degli “istruttori per l’orientamento, la mobilità e l’autonomia personale”, ma ritengo, tuttavia, che sia necessario chiarire, correggere e smentire alcune opinioni riguardanti l’utilizzo improprio del bastone. Non sembri inappropriato, quindi, se mi soffermo su alcune personali convinzioni in merito all’argomento, poiché esse costituiscono ancora per alcune persone o un pio desiderio o un tabù per un rifiuto connaturato. Consentitemi di soffermarmi un istante su tale aspetto, poiché comportamenti simili non investono soltanto la sfera psicologica della singola persona priva della vista, ma anche quella affettivo-relazionale con i familiari e con quella comunicativa della pubblica opinione.

Ed ecco perché mi sembra opportuno condividere con tutti voi alcune informazioni sul corretto uso di uno strumento tanto antico quanto insostituibile per l’autonomia del non vedente. Mi piacerebbe, però, che i tanti amici privi della vista abbandonassero ogni perplessità ed ogni titubanza e si convincessero psicologicamente di doversi impegnare a dipendere sempre meno dalla sia pur apprezzabile ed impagabile disponibilità delle altre persone. È molto frequente, purtroppo, notare che tanti privi della vista facciano ancora e volentieri ricorso al “braccio” di un familiare o di una persona caritatevole, piuttosto che “imbracciare” il bastone e muoversi in piena libertà ed autonomia. Il mio pensiero è rivolto a tutti, ma soprattutto a voi giovani amici privi della vista: lo starsene in casa, dinanzi ad un computer o ad uno smartphone, illudendosi di essere “al centro del mondo” perché si chatta per 24 ore al giorno con tanti amici virtuali, non è la vita; la vita è fuori, con le sue insidie, ma anche con le sue tante soddisfazioni, i tanti svaghi, le tante distrazioni. So bene che la vita non è facile, ma non lo è per nessuno; in ogni caso, però, ricordate sempre che “nulla è impossibile”

Ponendo da parte, intanto, ogni facile moralismo, cercherò di analizzare le ipotetiche cause che di fatto frenano l’uso del bastone bianco, considerato che nella vita nulla accade casualmente o per fatalità. Per supportare più chiaramente, poi, le considerazioni che seguiranno – pur cercando di utilizzare il linguaggio più semplice e chiaro – non potrò non fare riferimento a qualche concetto di natura un po’ più tecnica o scientifica e di ciò mi scuso a priori.

Molte persone – sempre a causa di una scarsa informazione tiflologica – con scetticismo e stupore, si pongono la domanda che, per certi versi, potrebbe sembrare anche legittima e ragionevole: è possibile che anche colui che manca di uno dei “sensi distali” più importanti, qual è quello visivo, abbia la capacità di registrare, alla pari di chi vede, le tante sensazioni grezze da inviare all’intelletto e che esso riesca a ricomporre ugualmente il puzzle o “la visione d’insieme” della realtà oggettiva?

Riconoscerete anche voi che la domanda, molto complessa, non può essere liquidata con una semplice risposta affermativa o negativa. Poiché, però, non è questo il momento per delucidazioni più articolate, si rimanda il lettore ad un apposito mio lavoro, molto più puntuale ed esauriente, che tratta, appunto, l’aspetto della “conoscenza nella persona priva della vista”.

Sono in molti, infatti, a ritenere – e da ciò deriva il diffuso scetticismo di cui sopra – che soltanto coloro che posseggono il senso della vista hanno la capacità di avvertire a distanza persone ed oggetti, intesi come ostacoli.

Non si tien conto, invece, che non è la vista, ma il cervello che – utilizzando sinergicamente sia le informazioni sensoriali ricevute in quell’istante, sia il bagaglio della memoria a breve e a lungo termine – elabora il materiale e la dinamica degli accadimenti sensoriali, dando ragionevolezza e concretezza alla “percezione anticipativa”. È la medesima capacità che l’illustre A, Romagnoli e l’insigne E. Ceppi consideravano quale momento propedeutico per la conoscenza spaziale del non vedente e che molto eloquentemente definirono “percezione degli ostacoli”. Ma vi è di più: il Romagnoli, infatti – approfondendo la sua analisi andò bel oltre; egli affermava che la semplice “percezione” – sottoposta ad una lunga e diligente esperienza motorio-spaziale – può divenire addirittura vera e propria “discriminazione degli ostacoli”.

Se è il cervello, allora, ad elaborare il materiale proveniente da tutti i sensi – e non esclusivamente da quello visivo – ne consegue che anche la persona con minorazione visiva possiede la capacità di utilizzare e sfruttare a suo vantaggio la “funzione anticipativa”, poiché anche l’intelletto di questi, utilizzando i “sensi residui”, riesce ugualmente a captare in sufficienza il materiale grezzo (le sensazioni) per ricostruirsi mentalmente il quadro generale della realtà circostante. È l’intelletto, infatti, che per ricostruire la realtà, non utilizza unicamente le sensazioni visive, ma elabora anche quelle registrate dagli altri organi sensoriali e tra le più importanti annoveriamo le “sensazioni anemestesiche”. Tutto il materiale disponibile, però, non deve essere inteso come la sommatoria delle sensazioni registrate, ma più correttamente come la “sintesi e la fusione” tra tutte esse, costituendo una unica e nuova percezione, quella che gli psicologi della “gestalt” – una delle specializzazioni (o settori) della psicologia del secolo scorso, con Géza Révész e David Katz, in particolare – definirono, appunto, “percezione aptica”.

Ne consegue anche, ovviamente, che tale capacità percettiva, non essendo innata, può essere migliorata ed educata con il passar del tempo, attraverso un lungo e complesso esercizio personale. Si comprende in tal modo come non tutte le persone prive della vista conseguano la medesima sensorialità nell’avvertire la presenza di ostacoli posti ad una ragionevole distanza. Ed è sempre per la medesima ragione che alcune persone non vedenti si persuadono più facilmente a servirsi del “bastone bianco” rispetto ad altre.

Riponete le vostre perplessità e le vostre paure, gentilissimi genitori di bambini minorati della vista ed amici colleghi docenti e non mostratevi, almeno voi, perplessi o sfiduciati verso l’uso di tale strumento. Allo stesso tempo, però, vi esorto vivamente anche a non trasformare un prezioso strumento di autonomia e di mobilità in un pietoso distintivo caratterizzante la cecità dei vostri figli o dei vostri allievi e, quindi, evitate di incrementare ulteriormente il già ricco scenario dei pregiudizi e degli stereotipi nei confronti di chi non vede.

L’approccio con il bastone bianco, tuttavia, non può avvenire per una casuale improvvisazione, ma dovrà essere graduale e a seguito di una convinzione interiore. Credete, a tal proposito, che si riveli davvero utile porre il bastone in una mano del vostro piccolo, mentre questi si lascia guidare da voi amorevolmente? E, ritenete che sia davvero una buona prassi imporre l’utilizzo del bastone, anche quando il bambino dovrà muoversi in un ambiente, quale quello della propria casa o quello scolastico, ambiente a lui già sufficientemente noto?

Sollecitate, invece, i vostri figli o i vostri allievi a muoversi, a muoversi in maniera autonoma e disinvolta, in maniera che registri mentalmente la collocazione delle porte, delle finestre e dell’arredo esistente. Abbiate cura di porlo anche nelle condizioni di avvertire le sensazioni differenti provenienti sia dagli ambienti chiusi, sia da quelli posti all’aperto e lasciate, soprattutto, che nei momenti di difficoltà impari a rinvenire la soluzione per proprio conto. Inducetelo a camminare da solo, facendogli acquisire sempre maggiore scioltezza ed armonia nei movimenti. E vi assicuro che – quando la sua mente sarà sgombra dalle paure e dalle ansie che gli adulti gli hanno inculcato – avvertirà spontaneamente anche il bisogno di correre e saltare alla pari dei suoi compagni. A tal proposito, anzi, non abbiate paura di mettere alla prova le acquisite capacità motorio-sensoriali del vostro ragazzino. Contrariamente a quanto pappagallescamente viene sostenuto da taluni “fantomatici tiflologi” – create artificiosamente voi stessi “percorsi con ostacoli”, poiché sarà proprio la presenza di una imprevista difficoltà posta sul suo cammino che lo indurrà a prestare sempre più maggiore attenzione e ad apprendere il difficile mestiere di “tener sempre alte le antenne”. Tale esercizio, tra l’altro, eseguito costantemente nel tempo, gli consentirà di affinare e superare giorno dopo giorno la soglia percettiva dei suoi “sensi residui”.

Lavorando alacremente su questo versante, amiche ed amici gentilissimi, vi accorgerete ben presto che le vostre ansie, le vostre titubanze e le vostre interiori paure non sono del tutto giustificabili, né insuperabili. In breve vi renderete conto che quel bambino – quel vostro figlio o alunno che eravate lì, lì pronti per avvolgere nella bambagia, per preservarlo da qualsiasi insidia, persino da quelle inesistenti – vi ricompenserà con sonanti e cospicui interessi, dimostrandovi che le vostre “indulgenti concessioni” stanno facendo germogliare autonomia, sicurezza, disinvoltura e padronanza nella mobilità.

Dopo aver riportato queste mie brevi ma doverose considerazioni, ritengo che il passaggio all’utilizzo del “bastone bianco” possa considerarsi ormai maturo e naturale.

Quanto sto per aggiungere, poi, a qualcuno potrebbe apparire quasi pleonastico se non addirittura lapalissiano; invece non lo è affatto.

Il “bastone”, per inviare messaggi chiari e inequivocabili all’esterno (pedoni od automobilisti) – come chiaramente riportato nell’art. 191 del nuovo Codice della Strada – dovrà essere sempre di colore bianco. Per essere visibile, poi, anche nei luoghi meno illuminati o durante le ore notturne, ad esso si potranno applicare delle fasce autoadesive rifrangenti, ma sempre di colore bianco. Le persone sordo-cieche, invece, utilizzano anche loro il bastone bianco, ma con strisce rosse rifrangenti, distanziate regolarmente l’una dall’altra.

Per quanto concerne la scelta del bastone, scelta tra quello rigido o quello pieghevole, sarà senz’altro una opzione soggettiva che può derivare anche dalla comodità e dall’uso che la persona intende farne, anche perché tra i bastoni pieghevoli o quelli telescopici ve ne sono alcuni che si possono ripiegare in più segmenti e riporre in una apposita custodia o in una borsetta.

Eppure, ciò nonostante, pur essendo in tanti a riconoscere i benefici apportati dall’utilizzo del bastone, non tutte le persone prive della vista accettano di buon grado tale ausilio. Da parte di qualcuno, infatti, vi è ancora un rifiuto connaturale verso tale sussidio, poiché ritenuto un simbolo troppo evidente della cecità e, pertanto, sminuente la propria dignità personale. È evidente, a mio parere, che il problema del rifiuto del bastone in costoro ha origini ben più remote e profonde, radicate, molto spesso, nella difficoltà di accettare la propria minorazione e, conseguentemente, di accettarsi quale “persona” minorata della vista”. Il rifiuto, però, potrebbe scaturire anche da una scarsa informazione dei vantaggi derivanti dall’utilizzo dello strumento. In più circostanze, però, accade qualcosa di ancor più grave e deplorevole: tanti non vedenti, infatti, sopravvalutando eccessivamente i pregiudizi o gli sguardi impietosi dei passanti, preferiscono chiudersi in casa, aspettando che qualcuno – per generosità o per dissimulato pietismo – bussi alla loro porta per far loro effettuare due passi all’aria aperta.

E, invece, i vantaggi del sapersi muovere autonomamente, con disinvoltura e in sicurezza, spesso sono sottovalutati o disconosciuti. Si è mai pensato, a tal proposito, di ascoltare il parere dei tanti adolescenti – soprattutto quelli che, nonostante i dinieghi frustranti dei propri genitori – intenderebbero recarsi in casa di un compagno o compagna di scuola, magari semplicemente per studiare assieme? Si è mai tenuto conto di quei tanti giovani che, per ragioni sentimentali od affettive, avvertono interiormente il bisogno di raggiungere un’amica, magari l’amica del cuore, restando lontani dagli occhi indiscreti di terze persone?

Ed allora, giovani amici, “imbracciate” il bastone ed iniziate a muovervi con la necessaria circospezione, esplorando all’inizio percorsi semplici, lineari e tali da non mettere assolutamente a repentaglio la vostra stessa incolumità. E, se già dall’inizio tutto procederà senza particolari difficoltà ma, semmai, con soddisfacente compiacimento, allora voi stessi, apprezzerete i vostri progressi ed avvertirete di poter osare di più, sempre di più, poiché sarà proprio l’indicibile soddisfazione personale che darà origine a nuove e crescenti sperimentazioni.

Giorno dopo giorno scoprirete che, tutto sommato, spostarsi da soli vuol dire soprattutto acquisire autonomia, sicurezza ed autostima nelle proprie capacità motorie. Giungerà ben presto il momento in cui anche la compagnia di altre persone amiche diverrà una piacevole opzione, una vostra scelta, ma non più una doverosa necessità.