di Antonio Giustino De Matteis – Tiflologo


(espressione utilizzata per la prima volta dal M.P.I. nella C. M. n. 199, del 28/7/1979).


Sembrerebbe che il Ministero, sempre ultimo a prender coscienza di quanto avviene quotidianamente all’interno della scuola, con la promulgazione del D. M. n. 188, del 21 giugno 2021, relativo alla formazione obbligatoria per il personale docente ai fini dell’inclusione degli alunni con disabilità, stia cominciando davvero a rendersi conto che il processo di inclusione scolastico non può essere sostenuto esclusivamente dai do-centi per il sostegno.
Coloro che in precedenza hanno avuto la cortesia di leggermi, sanno bene che con i miei scritti miro a divulgare una “nuova cultura della minorazione visiva” e, conseguente-mente, dell’affrancamento delle persone non vedenti dai numerosi pregiudizi e dai tanti stereotipi riguardanti, in special modo, quelli di natura psicologica e culturale.
A partire dal 1975, ho vissuto ininterrottamente la stagione dell’integrazione scolastica, indossando le vesti del formatore, del dirigente, quelle di “membro del gruppo di lavoro del Provveditorato agli Studi di Lecce (per ben 13 anni), ma anche quelle del docente di so-stegno. Ecco perché, ripercorrendo le esperienze di quasi cinquant’anni vissute dalla Scuola in merito all’“inserimento scolastico degli alunni handicappati” – processo ridefinito oggi un po’ enfaticamente dell’“integrazione” o dell’“inclusione scolastica”, è cambiata la terminologia, ma la sostanza è rimasta sempre immutata – mi vien da affermare che il ruolo e la funzione del Docente per le attività didattiche per il sostegno ha avuto andamen-ti molto incerti, ballerini e spesso frutto dell’improvvisazione.
Si può dire che oggi sia stato tutto risolto? Purtroppo, assolutamente no! Tante, infatti, sono ancora le incoerenze, le contraddizioni e le incongruenze che si colgono all’interno della Scuola.
Per la mia lunga esperienza – e vi assicuro che non è irrilevante – ritengo che sia ne-cessario non già (ri)definire un nuovo ruolo del Docente per le attività per il sostegno, quanto, invece, ripristinare quello originario avviato, come già detto, nel lontano 1975 con l’ultimo comma dell’art. 9 del D.P.R. 970, che, tra l’altro, sarebbe utile anche per rivedere l’annoso rapporto di “contitolarità” tra docenti curricolari e di sostegno.
Per tutti coloro che fossero ancora dubbiosi o disinformati in merito alla “contitolarità” tra docenti di sostegno e curricolari, vi riporto integralmente quanto espressamente riportato nella C. M. 250/85: … “La responsabilità dell’integrazione dell’alunno in situazione di handicap e dell’azione educativa svolta nei suoi confronti è, al medesimo titolo, dell’in-segnante di sostegno, dell’insegnante o degli insegnanti di classe o di sezione e della comunità scolastica nel suo insieme”. Ciò significa che non si deve mai delegare al so-lo insegnante di sostegno l’attuazione del “progetto educativo individualizzato” poiché in tal modo l’alunno verrebbe isolato anziché integrato nel contesto della classe o nella sezione, ma che tutti i docenti devono farsi carico della programmazione e dell’attuazione e verifica degli interventi didattico-educativi previsti dal piano individualizzato. Spetta agli insegnanti di classe o di sezione, in accordo con l’insegnante di sostegno, realizzare detto progetto anche quando quest’ultimo insegnante non sia presente nell’aula. Ciò per evitare i “tempi vuoti” che purtroppo spesso si verificano nella vita scolastica degli alunni portatori di handicap e che inducono semplicisticamente a richieste di una presenza sempre più prolungata dell’insegnante di sostegno a fianco dei singoli alunni, travisando così il princi-pio stesso dell’integrazione che è quello di fare agire il più possibile il soggetto insieme ai suoi compagni di classe, di sezione o di gruppo.
Ora credo che si comprenda meglio perché all’insegnante di sostegno non sia stato mai richiesto o imposto dall’alto di stabilire uno stretto rapporto duale o addirittura simbio-tico con l’alunno disabile – fenomeno che spesso, molto spesso, avviene in maniera inde-corosa nella scuola – poiché tale imposizione determinerebbe una generalizzata “dere-sponsabilizzazione” da parte del resto dei docenti.
E allora, di chi è la responsabilità quando si attua tale situazione? Qualcuno, proba-bilmente, direbbe di tutti e di nessuno, considerato che, nella maggior parte dei casi, ciò accade un po’ per “comodità” degli “attori”, un po’ per disinformazione del proprio ruolo e per una strisciante ma generalizzata sottomissione dei docenti di sostegno nei confronti dei colleghi curricolari, ma anche per il tacito assenso di alcuni Dirigenti Scolastici.
Sfugge, probabilmente, o non si vuol prendere in seria considerazione che, delegare al solo Docente di sostegno l’educazione dell’alunno con disabilità mette inevitabilmente in moto una pericolosa “dipendenza” tra l’alunno e colui che spesso si vuol far passare come il (suo) Insegnante. Non si mette in conto, invece, che delegare al solo docente di soste-gno il processo educativo, inneschi, consapevolmente o meno, il rischio che l’uno e l’altro (alunno e docente) siano “sconnessi”, “isolati”, “emarginati” dal contesto del gruppo-classe” e che, lavorare separatamente e in disparte limita o addirittura impedisce l’attuazione dell’obiettivo prioritario ed effettivo a cui deve mirare l’integrazione scolastica. Il resto della scolaresca come potrà ignorare il “concetto della diversità”, se continuerà a rilevare che quel loro compagno vien portato via dalla classe – e talvolta persino con mezzi coercitivi – perché è “un alunno diverso” da loro? Davvero straordinario meto-do per attuare l’”integrazione”, la “socializzazione”, la “solidarietà” e la “collabora-zione tra compagni”!
La verità, amiche ed amici, è che la Scuola, nonostante le prolungate esperienze non ha ancora “interiorizzato” o “coscientizzato” la consapevolezza e la “cultura della convivenza scolastica e sociale”. Già, questa è la corretta terminologia, a parer mio, che si dovrebbe utilizzare, considerato che di “naturale convivenza” si debba parlare e non già di “inserimento”, di integrazione” e neppure di inclusione”, poiché l’inappropriato utilizzo dei sostantivi di cui sopra induce inevitabilmente a rappresentazioni mentali errate che si proiettano anche nei comportamenti.
Ma, in questo marasma alquanto caotico e disorganico, il docente per il sostegno, per rispondere appieno al ruolo richiestogli dalla normativa vigente, dovrà fare un grande salto qualitativo, al fine di possedere non soltanto competenze professionali riguardanti la pro-pria disciplina, ma anche, e direi soprattutto, una particolare attitudine a saper ascoltare – e non certo passivamente – per essere egli l’artefice della ricomposizione e dell’armonizzazione tra le non rare divergenze nelle relazioni tra colleghi e nei rapporti tra scuola-famiglia.
Coloro che sono già da più anni nel meraviglioso e complesso mondo della scuola sanno bene, infatti, che né la didattica disciplinare, né le attitudini specifiche si posseggo-no sin dal primo momento d’ingresso nella scuola; le une e le altre, infatti, si acquisiscono e si affinano “in itinere”, giorno dopo giorno, mediante lo studio, la ricerca, l’entusiasmo e l’esperienza sul campo.
Sono altrettanto certo, o almeno me lo auguro, che nessuno di voi avrà mai la tenta-zione, amici impegnati nelle attività di sostegno, di supporre o presumere che l’attestazione di “Specializzazione” abbia posto nelle vostre mani il sapere universale. Mi rivolgo, in particolare, a quanti hanno conseguito l’Attestato di Specializzazione” a seguito degli ultimi “corsi lampo”, che, imperterriti, continuano ancora a privilegiare gli aspetti teo-rici-dottrinali rispetto a quelli più importanti e imprescindibili della didattica, del “fare” e del “saper fare”. La “specializzazione è soltanto lo start, il momento della partenza, non quello di arrivo e, vi assicuro, il percorso non è sempre in discesa!