Il dibattito che corre sul web e sulla stampa non rende del tutto ragione del dibattito che corre anche attraverso i vecchi fili telefonici.
Sta accadendo, come spesso accade, che i termini del problema si spostino e si finisce col perderne di vista il fuoco.
Il decreto ministeriale di sospensione delle lezioni e di invito ad una didattica a distanza viene utilizzato da alcuni per esaltare la scuola digitale tout court e per sentirsi adeguato e appagato nel padroneggiare “moderni” strumenti e tecnologie, ma viene utilizzato anche per gridare al lupo al lupo e per rimarcare le linee che caratterizzano la cosiddetta “vera scuola”, il “vero insegnamento”, la “vera relazione” con i ragazzi.
Ci sono insegnanti sicuri di sé che partono sparati con pratiche che già seguono da tempo e insegnanti che provano a capire come si può lavorare e che si pentono di aver trascurato per lungo tempo una formazione che ora servirebbe: capiscono che oportet studuisse, insomma. Ci sono insegnanti entusiasti del dover interpretare in modo diverso il proprio profilo professionale e di dover costruire materiali e situazioni di studio inedite, guide e coordinamenti che vanno al di là del tempo e dello spazio “normali”. E insegnanti che gridano ai decreti su pratiche non previste dal contratto e all’assenza di sindacati che non proteggono, non tutelano, non reclamano. Visioni e atteggiamenti, professionali e culturali, molto diversi fra loro. Facili ottimismi e autoreferenziali snobismi. Pericolosi pressappochismi e rigidi intellettualismi.
Poi ci sono i dirigenti: quelli orgogliosi del loro “essere pronti”, dell’aver già fatto esperienza, del poter elencare piattaforme e spazi virtuali già attivati nel proprio Istituto, del disporre di insegnanti ben formati tecnologicamente e pronti al just in time richiesto dalle nuove forme della professionalità docente. Quelli silenziosi, che non partecipano ai dibattiti delle piazze virtuali, che scuotono la testa di fronte all’improvviso avvento di una didattica che non condividono, e che con buon senso consigliano ai loro insegnanti di trovare il modo d’esser vicini agli studenti, di non lasciarli soli, di invitarli a letture e scritture e ricerche e compiti e pratiche che possano riempire il tempo e la solitudine esercitando la mente e magari promuovendo qualche apprendimento. E poi ci sono quelli che non si sono preoccupati, nel tempo, di promuovere la formazione degli insegnanti in qualsiasi direzione, che non hanno mai attivato innovazioni e sperimentazioni strumentali o pedagogiche, che non hanno innescato nell’Istituto meccanismi di dibattito e di ricerca, e che oggi però, di fronte all’emergenza, esigono, scioccamente e arbitrariamente, che gli insegnanti usino piattaforme, webinar, cloud, classi virtuali, come se bastasse schioccare le dita per cambiare culture, pratiche, visioni, e per produrre materiali, per organizzare percorsi.
L’emergenza sta portando fuori contraddizioni profonde e problemi irrisolti. E dietro alla battaglia (non nuova) su tecnologie sì, tecnologie no, tecnologie quando e come, si nasconde quello che a me sembra il vero grosso problema: la mancanza di una formazione professionale degli insegnanti che garantisca a tutti cultura elevata e sicura capacità di dare risposte competenti ai bisogni formativi generati dai nuovi contesti. Ciò che emerge come improcrastinabile, mi sembra, non è l’adozione di una didattica a distanza, ma una formazione professionale che dia agli insegnanti padronanza dei saperi scientifici e delle relative metodologie di pensiero, padronanza psicopedagogica e didattica, e anche padronanza strumentale e tecnologica. Ciò che fa la differenza, anche in situazioni di emergenza che richiedono strumentalità e strategie inedite, come questa, non è la piattaforma o il webinar, ma la consapevolezza psico-pedagogica e scientifica con cui viene costruito il materiale, con cui viene concepito il compito da svolgere, con cui viene formato il gruppo di discussione, con cui viene articolato il problema da discutere, con cui viene guidata la ricerca da compiere, con cui vengono indicati i siti da visionare, proposti i video da commentare, assegnati i ruoli da svolgere…
Non ha alcun senso, mi sembra, sostenere se sia più efficace la didattica in presenza o quella a distanza, la lezione con gli occhi che ti guardano o la classe virtuale. Non ha alcun senso, mi sembra, dubitare dei risultati della didattica a distanza più di quanto non occorra dubitare della didattica in presenza. So di insegnanti di elevata cultura e intellettualità che lucidamente hanno compreso la indispensabilità dei nuovi strumenti “anche” nella didattica, che hanno attraversato l’umiltà e la fatica di studiare, di mettersi in gioco, di esplorare terreni sconosciuti, e che oggi sanno integrare la competenza didattica e la competenza tecnologica per produrre occasioni formative di grande efficacia. Chi oggi grida contro una generica e indistinta didattica a distanza, spesso non sa neanche in che cosa essa possa consistere.
Credo (ma lo credevo già da lungo tempo, e quel che accade oggi me ne dà solo triste conferma) che la politica dell’istruzione non possa più fare a meno di considerare emergenze quella della formazione (globale, non tecnologica!) della classe docente, e quella della definizione di un nuovo profilo del docente, che preveda nuove forme, tempi e spazi per la nuova professionalità di cui oggi si avverte un crescente bisogno.

Dirigente Rita Bortone