di Elisabetta Patruno

Suggerito da questa edizione di Libriamoci, il tema istituzionale quest’anno è: Se leggi sei forte! parola di Libriamoci. Chi legge è più al sicuro, più difeso e armato di idee contro ingiustizie, sofferenze e prove, sa come prendersi cura di sé stesso e reagire davanti alle asperità della vita. I lettori non restano mai senza parole: che si tratti di aver sempre pronta la frase giusta al momento giusto, di controbattere con parole appropriate a offese o violenze, o di sapere dove cercare le risposte alle proprie domande. Se leggi sei forte! riflette questi aspetti: la lettura come strumento che rende più forti e consapevoli, dunque autenticamente liberi.


I TRE FILONI TEMATICI

  • La forza delle parole;
  • I libri, quelli forti;
  • Forti con le rime.

Lingua e rivoluzione in Don Milani

“Le parole hanno un potere grande: danno forma al pensiero, trasmettono conoscenza, aiutano a cooperare, costruiscono visioni, incantano, guariscono… Ma le parole possono anche ferire, offendere, calunniare, ingannare, distruggere , emarginare, negando con questo l’umanità stessa di noi parlanti”.(1)

Con le parole l’uomo dunque può esercitare un potere dominante su chi, questo potere non sa esercitarlo. Con esse può soggiogare, dominare e confondere i “non sapienti” creando una profonda divisione tra le generazioni, tra i ceti sociali, tra i partiti politici, tra gli Stati. Ma la parola ha in sé una grande valenza che è quella di andare al di là dei confini territoriali, per rivendicare l’uguaglianza della persona umana.

Don Milani nella sua Lettera a una Professoressa si interroga sulla forza della  parola intesa come strumento culturale sovversivo di  lotta a ogni forma di integralismo e pregiudizio (“pedagogia linguistica democratica”). Allora è lecito chiedersi:

  • Come possiamo utilizzare le parole per costruire nuovi scenari sociali ed umani?
  • Come l’uomo può imparare ad usare la parola, quale strumento di conoscenza delle cose?(2)
  • Quale dimensione olistica dare alle parole e al loro significato?
  • Come usare parole in “libertà” senza danneggiare l’altro?

L’esercizio della parola in una dimensione “etica e olistica” ci riporta alla scuola socratica, nella quale l’esercizio del dialogo tra maestro ed allievo, promuoveva la relazione empatica, il rispetto dei diversi punti di vista, la realizzazione di condivisione di valori. L’educatore, a Barbiana, diventa “regista e portatore di strumenti”, la classe diventa gruppo pensante ed comunità.

Ecco quindi che alla scuola è affidato il compito di educare al rispetto della diversità, di contrastare ogni forma di discriminazione e odio sociale (Legge 107/2015), di promuovere un’idea di legalità che guarda ai diritti umani. La scuola diventa luogo di parità sia sociale sia culturale, luogo in cui combattere l’emarginazione, educare alla convivenza, luogo inteso come “PALESTRA DI CITTADINANZA”.

Una scuola che nel corso degli anni  ha fatto uno sforzo per rispondere ai bisogni educativi di ogni alunno, una scuola che si è aperta al territorio nel tentativo di costruire un patto di corresponsabilità educativa, capace di produrre cambiamento. La scuola diventa il luogo dove “la cultura per don Milani è “partecipare alla massa e possedere la parola”(3), cioè rende l’uomo libero di  pensare, di parlare e di agire. Dunque è necessario utilizzare all’interno delle scuole un metodo attento a un nuovo modo di pensare il tempo come tempo della qualità delle relazioni, per riflettere, parlare, fare memoria e ritrovare il senso delle cose. Una scuola deve riuscire a costruire se stessa attraverso la qualità della didattica che utilizza strumenti innovativi, una scuola in cui il suo spazio si estende a quello della vita praticando la convivenza democratica tra persone diverse ognuna portatrice di valori. Una scuola dove promuovere autoefficacia e collaborazione tra pari ed indirizzare gli alunni verso un percorso di autoconsapevolezza e responsabilizzazione verso il proprio status di “cittadino, lavoratore responsabile, partecipe alla vita sociale, capace di assumere ruoli e funzioni in modo autonomo, in grado di saper affrontare le vicissitudini dell’esistenza” (OMS).

“Mi pareva di essere nell’antico oratorio nell’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Si vedeva che fra i giovani e i Superiori regnava la più grande cordialità e confidenza…”( Don Bosco “Il cortile di Valdocco”- tratto da Lettera da Roma, 1884).4

E’ questa l’immagine della scuola che ogni ragazzo dovrebbe sperimentare e vivere nel proprio percorso formativo. Una scuola dove la familiarità, la fiducia reciproca, la lealtà guidano le relazioni umane, promuovono la crescita dell’identità, motivano all’apprendimento significativo. Nella lettera si parla di cordialità e confidenza, una confidenza che cresce nel tempo tra gli attori del processo educativo, tra educatori e educandi,  che suscita spontaneità nei rapporti umani. Sentirsi amati è il fulcro della vera felicità e realizzazione personale e l’amore si manifesta nella capacità dell’educatore di ascoltare. Ascoltare per me significa guardare oltre e guardare dentro ogni uomo, per poter capire e carpire i reali bisogni della persona che ho davanti. In questo momento fluttuante, alienato è veramente difficile per la scuola ritrovare il proprio ruolo e lo è ancora di più per ogni docente che vive la sua professionalità in modo frustrante e limitato. Ma vorrei far mia una frase di Don Bosco che dice: “Studia di farti amare, prima di farti temere”.

1.www.paroleostili.com

2. Quaderni di Intercultura – Anno IV/2012 – pag.2

3. Quaderni di Intercultura – Anno IV/2012 – pag.6

4. Don Bosco “Il cortile di Valdocco”- tratto da Lettera da Roma, 1884

Bibliografia e Sitografia