QUANDO IL PREGIUDIZIO PREVALE SULLA REALTÀ E LA DISINFORMAZIONE SULLA CULTURA

DISABILITA’ VISIVA

Nella maggior parte delle persone – a seguito di una diffusa disinformazione – la minorazione della vista ha favorito, e favorisce tuttora, l’insorgere di numerosi pregiudizi, di assurdi preconcetti, di stereotipi controversi, di inconcepibili paure. Tale scarsa cultura tiflologica, conseguentemente, ha determinato la manifestazione di atteggiamenti equivoci e alquanto contraddittori. Vi è da aggiungere, infine, che alcune leggende o credenze popolari – che, si badi bene, non riguardano soltanto le classi meno abbienti o quelle meno acculturate – si sono talmente radicate, tanto da provocare persino un inconscio rifiuto ad avvicinare o a comunicare con “persone prive della vista”. Vi è anche da sottolineare che, molto spesso, coloro che vedono colgono e imprimono nella propria memoria alcuni particolari atteggiamenti – frutto di una educazione sicuramente non appropriata e non proposta al momento giusto – caratterizzanti quella specifica persona, ma non estensibili a tutti i privi della vista. Per obiettività, però, devo immediatamente precisare che le cause non sono sempre riconducibili agli altri, alle persone che vedono. Alcuni tra i non vedenti, infatti – probabilmente perché avvertono attorno un clima non sempre naturalmente accogliente e di accettazione – maturano sentimenti di diffidenza e di sfiducia nei confronti delle persone e del mondo. Le persone costrette a convivere con la disabilità visiva, infatti, spesso sono costrette ad affrontare almeno due ordini di difficoltà che non sempre si riesce a tenere separati: quello degli impedimenti e dei disagi reali, connessi alla biologicità del danno fisiologico e quello – forse ancor più greve del primo – attinente ai pregiudizi di natura psicologica e culturale che trovano facile alimento nella diffusa disinformazione culturale e che sono ancor più complicate e difficoltose da sradicare. Le opinioni gratuite e frequentemente infondate, che spesso si colgono nei confronti delle persone con disabilità, costituiscono ancora oggi un muro invalicabile, cementato con un compatto strato di fatalismo che si coglie ancora oggi anche se meno indefinita palpabile, ma proprio per questo ancora più subdola. Certo, oggi non è più contemplato o, meglio, non è più ufficialmente praticato il “principio eugenetico” secondo il quale gli spartani precipitavano dal dirupo del monte Taigeto (Taigeto) i bambini nati deformi. Ciò nonostante, però, la dignità delle persone con disabilità frequentemente è offesa e disconosciuta da pregiudizi molto severi, radicati ancora in alcune fasce della società contemporanea. La mia lunga esperienza nel campo dell’educazione e dell’istruzione degli alunni non vedenti, però, mi fa ritenere che tali pregiudizi non albergano o non si rinvengono soltanto tra gli strati sociali meno abbienti o meno acculturati. Un’altra considerazione, poi, mi sembra opportuno sottolineare: tra tutte le persone con difficoltà, quelle che non vedono subiscono in maniera ancor più accentuata l’ostracismo psicologico, poiché in ciascun privo della vista si ritiene di ravvisare le stigma o il marchio di una punizione divina. Dinanzi a tali negativi sentimenti, il mio impegno – che si esplicita mediante le prassi di una consapevole e mirata educazione sensoriale – mira a scardinare e superare questo status di indifferenza, di apatia o di passiva accettazione fatalistica. Le scienze umanistiche, la psicologia e le tante testimonianze di persone reali dovrebbero aiutare a rompere questi schemi così radicati; è giunto il momento di colmare questa inconcepibile disinformazione, fonte e causa di persistenti giudizi negativi e preclusioni, riguardanti le persone prive della vista. È questo l’obiettivo fondamentale che sostiene costantemente l’impegno e l’interesse del mio lavoro. La mia unica aspirazione da anni consiste nel far veicolare una nuova cultura riguardante la disabilità visiva, smantellando alle radici quei tanti pregiudizi, preconcetti e stereotipi, secondo i quali la persona priva della vista non ha la capacità di sviluppare funzioni intellettive alla pari di chi vede. Pur non intendendo assolutamente caricare alcuni di maggiori responsabilità rispetto ad altri, questo mio lavoro si rivolge in particolar modo alle famiglie che hanno nel proprio seno bambini privi della vista e ai tanti Docenti ai quali è sì demandato il compito di accompagnare detti alunni nel normale processo di crescita conoscitivo e culturale, ma soprattutto a far conseguire loro una doverosa e soddisfacente autonomia personale. A tal fine, particolarmente importante è l’opera della scuola che, con la sua incisiva azione educativa, deve affinare e migliorare il processo dell’integrazione scolastica e sociale, educando tanto gli alunni tanto le famiglie al naturale processo di inclusione scolastico e sociale. Ho buone ragioni per credere che le numerose diffidenze ancora non superate e non sempre imparziali e giustificabili nei confronti delle persone prive della vista troveranno sicuramente una positiva inversione di tendenza soltanto quando la cultura ufficiale si farà carico di dimostrare, in maniera convincente e sistematica, che esse sono semplicemente il frutto di un certo disagio culturale o di una inappropriata didattica tiflologica. Soltanto al termine di tale processo le tante barriere psicologiche scompariranno; soltanto allora anche il privo della vista sarà considerato una “persona” al pari delle altre; una persona in grado di tutelare e difendere i propri diritti, ma anche di onorare e rispettare i propri doveri, contribuendo anch’egli al miglioramento ed alla crescita della società. Soltanto in presenza di un rinnovato convincimento tutte le persone saranno poste nelle concrete condizioni di poter dare il meglio di sé, in proporzione, ovviamente, alle proprie personali capacità. Conseguentemente, anche la persona priva della vista non desterà più alcuna inquietudine interiore, poiché – se pur mancante della funzionalità visiva, elemento assolutamente importante, ma non condizionante la propria autonomia e il proprio processo conoscitivo – anche ella sarà considerata in funzione dei valori intrinseci ed universali dell’“essere persona” e, quindi, riconoscibili ad ogni “essere umano”.

PROF. TIFLOLOGO DE MATTEIS GIUSTINO