di Anna Rita Cancelli, docente.

Senza volerne svilire la portata e l’utilità, affrancherò i gentili lettori dal generico discorso sulla complessità dell’odierna società – con le sue sfide all’adattamento psichico, le sue “passioni tristi”, la frammentarietà dei rapporti, le nuove fragilità e il resto del bonario blaterare che, ultimamente, infarcisce ogni introduzione a questioni filo, pseudo o para sociologiche.

Effettuato il salto a piè pari, il discorso lo si intende orientare sul peculiare meccanismo di retroazione positiva fondante il circolo vizioso composto dalla mediocrità e dalla povertà, in quanto condizioni che si combinano stabilmente a determinare il loro vicendevole mantenimento.Il termine Mediocrità, dal latino mediocritas – atis, sta ad indicare la posizione di mezzo tra due estremi.Nell’immaginario collettivo la mediocrità, lungi dall’essere l’aurea mediocritas, auspicata dal poeta Orazio, ossia la capacità di mantenersi lontani dagli estremi e dagli eccessi, un principio di saggezza e ragionevolezza secondo il quale poter vivere in modo equilibrato e moralmente dignitoso, è ormai identificata come malessere collettivo, in una condizione di quiescenza. La requie, che pare non avere soluzione di continuità, è la cifra interpretativa comune. Si tratta di una quiete che è prodotto di modelli fortemente strutturati nel tempo da cui deriva lo status quo. E lo status quo, si sa, è genitore della mediocrità.

Da questa consapevolezza scaturisce un’immagine della mediocrità per niente idiopatica.“Mediocre”, indica James Hillman nel suo “Il codice dell’anima”, “tende a significare <<senza tratti distintivi>> (…) Nessuna anima è mediocre, per convenzionali che siano i nostri gusti personali e per medie che siano le nostre prestazioni in tutto. Lo esprime bene il linguaggio comune. Di un’anima si può dire che è vecchia, o saggia, o tenera. Parlando di una persona diciamo che ha una bella anima, o è ferita nell’anima, che ha un’anima profonda o grande, o che è un’anima bella, cioè semplice, fanciullesca, ingenua. Ma non diremo mai: <<La tale ha un’anima di ceto medio>>; termini come <<medio>>, <<usuale>>, <<tipico>>, <<normale>>, <<mediocre>>, non si accompagnano con anima. (…) Per l’anima, l’idea di mediocrità non ha senso.” Il labirintico percorso sulla generalità del fenomeno della mediocrità come condizione collettiva costringe a tornare indietro per localizzarne i particolari. 

I mediocri sono fratelli, figli di una certa forma di cultura. La mediocrità non è più una minaccia insopportabile denunciata solo da Kierkegaard, Schopenhauer, Giulio Cesare, Jim Morrison e altri geni. Essa è ormai palese, tangibile, è nefanda concrezione.La mediocrità si traduce continuamente in banalità, ignoranza, disgregazione, incongruità,  riduzione di libertà nell’assunzione di scelte individuali e collettive, disservizio, malavita, clientelismo, omertà, individualismo, degrado ed esclusione sociale, desertificazione delle aree geografiche più deboli, rassegnazione, “sviluppo senza progresso”.E più si scende a Sud del Paese, dove le periferie sono spesso dimenticate, e più si assiste ad un fenomeno di “normalizzazione” della mediocrità nelle manifestazioni sopra elencate. È come nei film di nicchia di Daniele Ciprì e Franco Maresco, autori della CinicoTv, dov’è ben rappresentata la decadenza dello spirito del tempo odierno, che investe non solo la periferia palermitana, di cui si pongono in risalto gli aspetti più crudi, ma l’intero Paese. I due registi, attraverso la rappresentazione filmica del grottesco dell’osceno e del “subumano”, fanno luce sul degrado  e sulla desolazione della periferia palermitana identificate dal “sotto-proletariato”, ossia, quella classe sociale che non ha possibilità di accesso ad un qualsivoglia reddito, figlia del disagio socio-economico. 

“Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia ma l’assalto è avvenuto: i mediocri hanno preso il potere” (cfr. “Mediocri di tutto il mondo vi siete uniti. E avete vinto”, LA STAMPA, http://www.lastampa.it), sostiene il filosofo canadese Alain Deneault, autore del longseller internazionale “La mediocrazia”. Nel suo saggio Deneault vuole indicare la forte pressione sociale che incoraggia gli individui a permanere nella condizione di qualunquismo. Il filosofo, facendo intendere che esista un potere invisibile, rileva la perversione insita nella mediocrazia “La didattura è psicotica, la mediocrazia è perversa. Psicotica perché la dittatura non ha alcun dubbio su chi deve decidere. Hitler, Mussolini, Tito sono stati tutti personaggi ipervisibili, affascinanti, che schiacciano con le loro parole; la mediocrazia è perversa perché cerca di dissolvere l’autorità nelle persone facendo in modo che la interiorizzino e si comportino come fosse una volontà loro” (cfr. “Mediocri di tutto il mondo vi siete uniti. E avete vinto”, LA STAMPA, http://www.lastampa.it). Secondo il Professor Deneault, il mediocre non è necessariamente identificabile nell’ incompetente, anche perché, a suo parere, quello attuale è un sistema adeguato all’avanzamento sociale e professionale di “individui mediamente competenti”. Il punto è che la bravura e, là dove esistano, i vezzi del genio del mediocre devono piegarsi ad un certo gioco, a ciò che è comunemente e correntemente ritenuto “politicamente corretto”. 

Di ciò ne è triste esempio, per il filosofo canadese, l’ambito accademico, di cui lo stesso parla con manifesta durezza “Gli ambienti universitari formano sempre meno una élite capace di gettare luce sulla strada giusta da seguire per l’uomo comune. Sono più simili a una corte d’altri tempi, vendono risultati di ricerca a dei finanziatori. Molta autocensura, molti format replicati per far piacere al potere” cfr. “Mediocri di tutto il mondo vi siete uniti. E avete vinto”, LA STAMPA, http://www.lastampa.it). Le ricerche di “mainstream”, ossia di stampo conservatore, sono il prodotto di un assoggettamento alle logiche del mercato del lavoro. Meccanismo dovuto alle politiche in atto circa la valutazione dei ricercatori.Che ne è dell’onestà intellettuale? Che ne è del merito? Che ne è della linearità del rapporto tra talento e successo? Certamente non crescono nel giardino della mediocrazia. E di questo, in questa vita, ne rimettiamo tutti. Tutti e tutto nelle torbide acque dello stagno: persone, categorie di persone, istituzioni, situazioni, condizioni, periferie, creatività, innovazione, capitale intellettuale, autonomia critica, sapere, distribuzione del sapere, distribuzione del potere e della ricchezza, produttività, divario Nord – Sud del Paese…

Nella quiete dello stagno non c’è moto ondoso a scuotere establishments costituiti.“Chi comanda e chi patisce. Chi è fermo e s’ingrassa e chi corre e non si sfama. Due Italie, una sola storia.”,  tanto è espresso nel risvolto di “Mediocri. I potenti dell’ Italia immobile”, il saggio di Antonello Caporale – pubblicato da Dalai Editore nella collana I saggi –  che, insieme a sette ragazzi armati unicamente del loro centodieci e lode, si è mosso per il Paese, alla ricerca di volti e luoghi dei mediocri, ma anche di talenti nascosti, fuggiti o dimenticati. E li ha trovati i talenti italiani, l’autore, giornalista e saggista italiano, li ha trovati i talenti! Il problema, però è che in Italia esiste il fenomeno della mala allocazione delle risorse intellettuali.A proposito di allocazione di risorse: “I mercati sono essi stessi istituzioni efficienti per allocare risorse, ma non assicurano la faimess dell’allocazione e richiedono interventi pubblici in funzione distributiva, di produzione o fornitura di beni pubblici e di stabilizzazione macroeconomica.” ( cfr. “Mercati e istituzioni in Italia. Diritto pubblico dell’economia”, quarta edizione, G. Giappichelli Editore, http://books.google.it). 

Quando il mercato interviene come meccanismo allocativo, spesso comporta gravi conseguenze a carico dell’equità tra individui che non godono della stessa condizione di vantaggio socio – economico. Un meccanismo degenerativo investe sia gli individui in situazione di svantaggio, determinando iniquità, sia le scelte collettive, determinandone l’inefficienza.I soggetti che vivono in condizione di ristrettezza delle risorse possono avere una percezione distorta dei propri interessi, che determina una riduzione della libertà di scelta. “La difficoltà di “raggiungere” le proprie preferenze rende dunque inefficiente e non solo iniquo il meccanismo regolativo di mercato” (cfr. “Libertà di scelta e meccanismi di allocazione delle risorse – Unibis, https://www.unibis.it > Busila03). Egregi promotori dell’economia di mercato, compresi Friedrich Hayek, Milton Friedman – paladini del free market – Adam Smith, Paul Samuelson e John Maynard Keynes, mai negando la centralità del ruolo dello Stato nell’economia di mercato e conoscendo la realtà dei beni pubblici, avevano piena consapevolezza della necessità dell’impegno da parte del governo, tra le diverse attività, nella ricerca scientifica, nella regolazione finanziaria, nelle infrastrutture e nell’istruzione.

Uno Stato che investe nell’istruzione è uno Stato che serve la propria prosperità. Perché istruzione e sviluppo economico sono legati da un rapporto di interdipendenza positiva. Ma, ahimè, la crisi economica ha determinato un infausto impatto sulla spesa per l’istruzione. I Italia scuola e università sono state destinatarie di tagli di bilancio, mentre la Germania, nel periodo che va dal 2000 al 2013, ha incrementato del 70% la spesa in ricerca e sviluppo – raggiungendo il 3% del Prodotto Interno Lordo auspicato dalla Strategia di Lisbona. E le università tedesche, più facoltose sono e più attraggono fondi di ricerca. “la meritocrazia, senza garantire le pari opportunità, porta al privilegio.” (cfr. “Cultura 2030: le desertificazioni in atto nel 2008” di Francesco Sylos Labini, http://www.roars.it).Dal 2008, anno della crisi finanziaria, in Italia, come in Estonia, Ungheria, Irlanda, si tagliano risorse all’istruzione. “Nel periodo tra il 2008 e il 2014 l’Italia ha tagliato il 21% della spesa universitaria mentre la Germania l’ha aumentata del 23% e la Francia, che pure non naviga in buone acque, del 4%. (La variazione per il Regno Unito è dovuta alla crescita delle tasse universitarie a 9000 sterline/anno a causa dei tagli effettuati dal governo Cameron). (…) tuttavia nel 2008 il nostro Paese ha alzato bandiera bianca ed il disimpegno nella spesa in istruzione ne è la cartina di tornasole.” (cfr. “Dimissioni di Fioramonti: manca sempre il rospo” di Francesco Sylos Labini, http://www.roars.it).

Il taglio di spesa, peraltro, non è avvenuto in maniera omogenea sull’intero territorio italiano: ad essere maggiormente penalizzato, rispetto al Nord del Paese, è stato il Centro Sud  – “riflesso di ciò che si sta verificando in Europa, dove le risorse stanno seguendo la direttrice sud-nord” (cfr. “Cultura 2030: le desertificazioni in atto nel 2008” di Francesco Sylos Labini, http://www.roars.it).Come dire… “Piove sempre sul bagnato”! E non è neanche da considerarsi un’aberrazione del sistema capitalistico, ma ne è conseguenza strutturale.“Il lusso, la spensieratezza e lo spettacolo consueto della ricchezza fanno quei ragazzi così belli, che si direbbero d’una pasta diversa da quella dei figli della mediocrità e della povertà” Charles Baudelaire.

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