Voti, giudizi, livelli… e ancora voti

di Angela GADDUCCI – Dirigente scolastico

La valutazione scolastica costituisce un momento ineludibile nella pratica del docente ed è un’operazione impegnativa e complessa. Da un lato, prevede l’accertamento del conseguimento degli obiettivi didattici fissati, step by step lungo il percorso scolastico, dall’altro, verifica la validità dell’azione educativa svolta. L’insegnante ha bisogno di tenere costantemente sotto controllo la sua ipotesi di lavoro, il grado di efficacia dei suoi metodi, i contenuti scelti e gli strumenti che ha utilizzato. L’azione di feedback è utile al docente per poter arrivare ad una sempre più efficace individualizzazione e personalizzazione delle attività educative: controllare, migliorare o modificare gli approcci utilizzati, adattarli ai concreti bisogni degli alunni e ai loro stili di apprendimento, garantire il successo dell’azione didattica e della produttività dell’istituzione scolastica. Considerata sotto questo aspetto, la valutazione serve a conoscere meglio l’alunno per sostenerlo e guidarlo adeguatamente nel processo di apprendimento.

Dal voto in decimi per la scuola primaria…

Eppure, per quanto costituisca una parte insostituibile nella pratica del docente, il processo valutativo rappresenta il più controverso tra gli ambiti dell’azione didattica. E l’ordine di scuola che più di ogni altro è stato colpito da un susseguirsi di riforme e di modifiche dei modelli valutativi è la scuola primaria. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un tourbillon di decisioni che ha messo un po’ in difficoltà le scuole provocando sentimenti contrastanti tra insegnanti, genitori e alunni.

Nel corso dell’ultimo ventennio tutte le norme in materia di valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli alunni hanno fatto capo prima al D.P.R. 122/2009, poi al D.lgs. 62/2017 che ha modificato alcune procedure, spaziando dalle questioni generali sul “senso” del valutare fino a prescrizioni di dettaglio in materia di ammissione alle classi successive e agli esami, di comportamento, di certificazione delle competenze, di riforma degli esami di Stato. Per entrambi i riferimenti normativi, comunque, la valutazione ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento dello studente. Ma nel comma 1 dell’articolo 2 del D.lgs. 62/2017 si fa la scelta dell’attribuzione del voto in decimi anche nella scuola primaria. Una nota successiva (n. 1865/2017) cercherà però di attutire tale scelta suggerendo di utilizzare ulteriori strategie per rendere il voto più chiaro e significativo, definendo, per esempio, descrittori e utilizzando rubriche di valutazione o altro.

… al giudizio descrittivo

Qualche anno dopo, però, si ritorna sulle decisioni prese ripristinando i giudizi articolati in livelli Avanzato, Intermedio, Base, In via di prima acquisizione, ma solo nella sola scuola primaria. I riferimenti sono:

  • Legge 6 giugno 2020, n. 41 (articolo 1, comma 2 bis)[1];
  • legge 13 ottobre 2020, n. 126, articolo 32, comma 6 sexies[2];
  • Ordinanza ministeriale 4 dicembre 2020, n. 172;
  • Nota 4 dicembre 2020, n. 2158;
  • Linee guida “Valutazione nella scuola primaria”.

In questi provvedimenti, in modo particolare nell’articolo 1, comma 2-bis, Legge 6 giugno 2020, n. 41, si diceva, di fatto, che dall’anno scolastico 2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti doveva essere espressa, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali (compreso l’insegnamento trasversale di educazione civica) attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, proprio per rendere maggiormente evidente il miglioramento degli apprendimenti. Si diceva, inoltre, che i giudizi descrittivi dovevano essere riferiti agli obiettivi oggetto di valutazione definiti nel curricolo d’istituto e correlati ai differenti livelli di apprendimento.

Si ritorna all’antico?

Oggi ci troviamo di fronte ad un uovo cambiamento. Gli attuali decisori politici hanno dichiarato di voler ritornare ad un sistema più semplice e più diretto anche perché le famiglie si sentono disorientate dal sistema attuale dei livelli.

Un emendamento presentato dal Governo al disegno di legge n. 924-bis (concernente la revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento degli studenti di scuola secondaria) prevede la revisione delle modalità di valutazione degli alunni di scuola primaria. Si dice, infatti, che a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti degli alunni di scuola primaria dovrà essere espressa ancora una volta con i giudizi tradizionali, quelli sintetici, che spaziano da ottimo a insufficiente.

Quindi, dopo soli 4 anni dall’introduzione dei livelli ritornano i tradizionali giudizi sintetici; cioè quella modalità valutativa che, mediante un aggettivo, esprime la sintesi delle molteplici rilevazioni effettuate dai docenti sullo studente. L’aggettivo dovrebbe riassumere oltre agli apprendimenti acquisiti, anche il livello di socialità, la crescita intellettuale e affettiva, lo sviluppo delle attitudini.

La valutazione attraverso un aggettivo è una formula consolidata e, in quanto tale, risulta anche più comprensibile sia dagli alunni che dalle loro famiglie. D’altronde, la funzionalità dei giudizi sintetici sta proprio nella loro comprensibilità.

Va comunque rilevato che una innovazione, come quella dei livelli, per essere verificata nella sua efficacia, avrebbe avuto bisogno di più tempo, e quattro anni non sono abbastanza. La proposta attuale arriva quindi senza una rigorosa verifica.

Il disegno di legge

Il disegno di legge n. 924-bis riguarda soprattutto la revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento degli studenti di scuola secondaria. Si dice che “Per le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado, la valutazione del comportamento è espressa in decimi”. Il voto in decimi è una consuetudine consacrata un secolo fa dal verbo gentiliano.

Certamente, anche il voto – al pari del giudizio sintetico – è immediatamente comprensibile per l’essenziale schematicità espressa dal numero, ma resta pur sempre connotato da una certa ambiguità, perché non dà conto dei processi. Il voto è di fatto una evidente approssimazione.

Il voto potrebbe comunque risultare utile per contrassegnare un esito, ma non riveste alcuna dimensione prospettica se non è corredato da ulteriori strumenti di tipo descrittivo. Solo in tal modo la ‘staticità’ del voto potrebbe animarsi e rivestirsi anche di una funzione diagnostico-predittiva come indicazione di un orientamento educativo, di un possibile orizzonte formativo. Perché il voto – così come il giudizio sintetico – altro non è che il risultato di un assemblaggio di diversi elementi ma non dà conto delle diversità tra soggetto e soggetto, né tanto meno delle sfumature che contraddistinguono i processi di apprendimento.

Una storia già sentita

Un secolo fa la valutazione attraverso il voto in decimi era una realtà scontata. Non c’era allora la stessa sensibilità pedagogica. La didattica era unidirezionale e non c’era ancora l’attenzione al soggetto che apprende. Va ricordato, però, che nel 1940, l’allora Ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, introdusse un cambiamento nel sistema di valutazione sostituendo i voti con giudizi sintetici, chiamati “categorie”. Si introdussero infatti cinque aggettivi (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente, affatto insufficiente) di cui tre positivi e due negativi. Ci riferiamo all’artico 17, legge n. 899 del 1° luglio 1940 dove si precisava anche che il “giudizio, formulato alla fine di ciascun trimestre dal professore di lettere, riassume i giudizi parziali espressi per iscritto dai singoli insegnanti”.

In realtà, la legge Bottai non ebbe una grande diffusione, anche perché in quegli anni si era in piena escalation bellica. Quindi, fino agli anni Settanta, si continuerà ad utilizzare il più “rassicurante” sistema decimale.

Nella stagione dei grandi movimenti riformistici, fu grazie alla legge 517/1977 che nelle scuole del primo ciclo i voti espressi in decimi vennero sostituiti da “una valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione” raggiunto dall’alunno (articoli 4 e 9).

Le successive innovazioni pedagogiche ed ordinamentali degli anni Ottanta hanno poi sollecitato ulteriori ed importanti riflessioni pedagogiche da cui nacque anche un nuovo tentativo che porterà a studiare la questione degli indicatori di competenza: una sorta di enunciati convenzionali per i livelli di padronanza delle conoscenze, delle abilità, con uno sguardo verso la logica degli standard. Ci fu un nuovo “documento di valutazione” (1993)[3] dove si richiedeva ai docenti di utilizzare cinque lettere alfabetiche (A, B, C, D, E) per rappresentare i risultati di apprendimento[4].

L’impostazione del modello con la scala pentenaria aveva creato sicuramente alcune difficoltà nella comunicazione con le famiglie perché non era facile rappresentare in maniera semplice e chiara cosa ci fosse veramente dentro una lettera dell’alfabeto. Anche allora si optò per la semplificazione ritornando ai soliti giudizi sintetici.

Per completezza va anche ricordato il portfolio della riforma Moratti: un modello complesso corroborato da specifiche linee guida e poi di nuovo la quiete docimologica.

Dallo strumento al significato della valutazione

Allo stato attuale si sta dunque, di nuovo, riflettendo sull’adeguatezza degli strumenti valutativi. Forse la proposta del Ministro avrà buon esito. Ma la valutazione non va confusa con lo strumento che si usa.

La valutazione può essere espressa mediante l’assegnazione di voti numerici, oppure la formulazione di giudizi narrativi, ma anche l’attribuzione di giudizi sintetici attraverso livelli, lettere alfabetiche, o attraverso specifici profili. Comunque sia espressa deve rivestire una funzione intenzionalmente educativa e formativa. Non deve essere collocata al termine di un percorso didattico come una mera postilla, ma deve procedere di pari passo con i processi che si attivano attraverso le didattiche. Deve configurarsi come un impianto metodologico da condividere con studenti e famiglie nell’ottica del confronto, della cooperazione e della democraticità. Nell’alleanza scuola-famiglia, l’insegnante può acquisire informazioni più complete in merito al percorso di vita dello studente, che lo aiuteranno sicuramente a migliorare la didattica.

La valutazione deve, quindi, essere centrale tanto nell’organizzazione delle istituzioni scolastiche quanto nei vissuti esperienziali degli studenti, perché rappresenta lo strumento che consente una riflessione critica sul proprio percorso di sviluppo: non solo incentiva lo studente a progredire in vista di traguardi ulteriori, ma lo aiuta ad implementarne il proprio potenziale e a trovare le strategie necessarie per superare gli ostacoli.