a cura del Prof.De Matteis Giustino, tiflologo

La legislazione scolastica in Italia, riguardante l’integrazione degli alunni con disabilità, ha conosciuto momenti molto importanti e differenziati: si è passati, infatti, dalla fase iniziale di totale esclusione da qualsiasi intervento educativo, al momento della separazione in scuole speciali, per giungere all’inserimento e, quindi, all’integrazione nella scuola di tutti.
Ancora oggi, però, sembrano essere ancora tante le contraddizioni e le incongruenze in merito al ruolo del Docente delle attività didattiche per il sostegno. Dopo quaranta anni ed oltre di esperienze positive – ma in molti casi talvolta incerte e ballerine – partendo dai primi interventi normativi sull’“inserimento scolastico degli alunni handicappati” – vedasi la Circ.
Min. 227/1975 – per giungere all’attuale “integrazione” o “inclusione degli alunni in situazione di disabilità o di svantaggio”, ritengo che sia necessario non tanto ridefinire, quanto ripristinare l’originario e più autentico ruolo del Docente di sostegno per le attività didattiche.

Rivisitando attentamente la normativa scolastica vigente, all’Insegnante di Sostegno non è stato mai chiesto di instaurare una stretta simbiosi con l’alunno disabile; né, per altro,sarebbe potuta mai essere prevedibile e giustificabile tale insensata “delega”, poiché, di fatto, avrebbe sancito la “deresponsabilizzazione” di molti attori, altrettanto necessari e importanti quanto il docente di sostegno nell’attuazione del processo educativo e di crescita sul piano dell’autonomia personale dell’alunno in situazione di disabilità. A tal proposito, anzi, il Ministero ha sempre censurato comportamenti difformi dallo spirito delle leggi, poiché di fatto ricreano un ulteriore e più discriminante isolamento dell’alunno.

Anche se si ricercano mille mezzucci per giustificare il sotterfugio della delega, forse sarebbe opportuno riconoscere che tale prassi dichiara esplicitamente il fallimento dell’inclusione. Nella maggior parte dei casi, infatti, la delega avviene per scarsa e ingiustificabile conoscenza della normativa, che sottintende sempre, però, una implicita situazione di comodità da parte degli operatori scolastici. Qualunque sia la motivazione, in ogni caso, si corre sempre il rischio che il processo educativo dell’alunno in situazione di disabilità sia demandato al solo insegnante di sostegno, procedura che spesso avviene con il tacito assenso del Dirigente Scolastico. Per non stigmatizzare, poi, che vi sono persino circostanze – e in tal caso è ancor più deprecabile e ingiustificabile – che sia lo stesso Insegnante di sostegno a determinare l’isolamento dell’alunno, dichiarando, senza se e senza ma, la sua scarsa formazione professionale.

Sfugge, probabilmente, che l’attribuzione di delega nei confronti del docente per il sostegno mette inevitabilmente in moto una perversa e pericolosa “dipendenza” tra l’alunno e il “suo unico Insegnante” (così spesso definito e considerato). Raramente si pensa, invece, che l’affidare l’alunno – consapevolmente o meno – innesca un pericoloso e irreversibile
processo di “isolamento dal contesto del gruppo-classe”, che coinvolge tanto l’alunno, quanto il docente e che annulla o impedisce l’efficacia “integrazione scolastica”. Deve esser chiaro per tutti che il processo di “inclusione” non si assolve affatto nel frequentare semplicemente la stessa scuola degli altri, ma nel far conseguire lo sviluppo delle potenzialità della persona nell’apprendimento, nella comunicazione e soprattutto nella socializzazione”. Soltanto se si lavora tutti assieme, muovendo verso tale direzione, si possono conseguire gli obbiettivi che conducono “all’autonomia personale”, prevista dal paragrafo 3° dell’art. 12 della L. n. 104/1992.

Vi è poi un altro aspetto da considerare e che rappresenta il rovescio della medaglia. Il docente per il sostegno psicologico e didattico – anche se ha conseguito la “specializzazione”, investendo per proprio conto tempo e danaro – non dovrà mai supporre di poter guardare i colleghi dall’alto del suo piedistallo di argilla fresca, poiché commetterebbe un atto di grave presunzione che, nell’ambito della scuola, potrebbe ritorcersi contro se stesso, con evidenti ricadute sul piano educativo.

Il docente specializzato, invece, per rispondere pienamente al suo ruolo richiestogli dalla ratio della normativa vigente – pur non divenendo mai lo zerbino di turno – dovrà possedere competenze professionali specifiche e incontestabili, oltre che dar sempre prova di saper ascoltare con pazienza e pacatezza, essere sempre conciliante e discreto sia con i colleghi sia con le famiglie.

Per conseguire il migliore processo di crescita educativa dell’alunno in situazione di disabilità, il docente per le attività di sostegno deve essere consapevole che la sua funzione e il suo ruolo hanno una reale giustificazione soltanto se il suo intervento coinvolge sia l’intero gruppo dei docenti del plesso scolastico, sia tutto il personale presente all’interno della istituzione scolastica.

Si comprende facilmente, quindi, che per tutte le considerazioni sopra espresse, inoltre, il suo impegno non potrà mai prescindere dal coinvolgimento fattivo e partecipativo delle famiglie, con le quali sarà sempre auspicabile instaurare un rapporto costante di confronto e di collaborazione.

Qualcuno potrebbe obiettare: questo tuo modo di sentire trovano un supporto nelle fonti normative?

Certamente sì, altrimenti si tratterebbe di  semplice farneticare.

I primi accenni legislativi riguardanti il profilo professionale dell’Insegnante di sostegno ([1]) si rinvengono nell’ultimo comma dell’art. 9 del D.P.R. n. 970, del 31/10/1975 ([2]). Il 1975, infatti, fu l’anno iniziale ma decisivo per l’avvio del processo “dell’inserimento”, poiché fu anche l’anno della promulgazione della prima Circ. Min., quella dell’8/8/1975, n. 227, riguardante, appunto, la possibilità dell’“inserimento degli alunni handicappati” nella scuola comune. La Circolare – al di là di ogni altra considerazione sull’organizzazione delle Scuole – è importante anche perché in allegato recava la “relazione conclusiva della commissione Falcucci”, conosciuta solitamente come “documento Falcucci”.

Nell’ultimo comma dell’art. 9 del D.P.R. sopra citato, infatti, si sottolineava chiaramente che il personale specializzato non è assegnato assolutamente agli alunni disabili, bensì “alle scuole normali per interventi individualizzati di natura integrativa in favore della generalità degli alunni e in particolare di quelli che presentano specifiche difficoltà di apprendimento”. Quanto poi ribadito chiaramente in materia di impegno e di responsabilità concernente il “Progetto Educativo Individualizzato” da redigere in favore dell’alunno in situazione di difficoltà – a tal proposito si veda sia la Legge-quadro 104 ([3]3) sia l’art.5 del D.P.R. 24/02/1994 – poiché essi stabiliscono chiaramente che “gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità (leggasi: diritti e doveri) delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse e di classe e dei collegi dei docenti”. Il ruolo e la funzione dell’Insegnante di Sostegno, pertanto – in quanto ritenuto “Docente esperto-tecnico in didattica” – si configura “come collaboratore, suggeritore, per la classe e
non come il Docente esperto al quale assegnare in esclusiva l’educazione e l’istruzione dell’alunno avente bisogni particolari.

Ma è opportuno e doveroso domandarsi se il Docente Specializzato possiede sempre quelle capacità comunicative, relazionali e professionali per gestire in modo proficuo la complessa rete di rapporti tra l’alunno in difficoltà e il resto del “gruppo-classe e per ricoprire quel ruolo di collegamento tra la scuola e la famiglia e per divenire, soprattutto, un “punto di riferimento” per tutti gli altri Docenti. Ho buone ragioni per credere che, se la comunità scolastica interpretasse in quest’ottica la presenza e l’intervento del Docente per il sostegno – coinvolgendo parimenti la famiglia e tutti gli attori presenti nell’ambito scolastico – i personalismi e gli individualismi verrebbero senz’altro meno. Si tratta di atteggiamenti negativi che hanno sempre minato alle basi il rapporto della collaborazione collegiale, tralasciando o non utilizzando affatto le preziose competenze di tutti i Docenti. Se si accantonassero definitivamente alcuni schemi mentali – che di fatto inducono inevitabilmente a determinati comportamenti – non sentiremmo più alcune espressioni: “la mia aula”, “i miei alunni”, “il mio registro”, “il mio armadio”. Nei decenni passati, infatti, ogni Docente si riteneva al centro dell’universo scolastico: tutto gli apparteneva e in tal guisa si comportava.

La scuola di oggi, invece, deve essere intesa e vissuta come una grande comunità collaborativa, nella quale il Dirigente Scolastico, innanzitutto, i Docenti, gli alunni, le famiglie, il personale Ausiliario Tecnico e Amministrativo, le associazioni territoriali, tutti devono porre a disposizione dell’organizzazione scolastica le proprie competenze e la propria professionalità.


1) – l’espressione “insegnate di sostegno”, però, sarà utilizzata per la prima volta dal Ministero della Pubblica Istruzione soltanto nella C. M. n. 199, del 28 luglio 1979.

[2]) – è il Decreto del Presidente della Repubblica che, all’art. 8 introduce i “Corsi Biennali di Specializzazione Polivalente”.

[3]) – Legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.