di Giustino De Matteis, tiflologo (seconda parte)

Nella prima parte del presente argomento ci siamo posti la domanda se, al momento della nascita, il bimbo privo della vista possieda le medesime potenzialità di quello che vede.Non avendo finora alcun riscontro scientifico, sembra opportuno partire dal presupposto che il bambino con cecità congenita non si differenzia in nulla dal coetaneo vedente. La disabilità visiva, infatti – a meno che non si tratti di malformazioni in bambini ad alto rischio o nati prematuramente e con basso peso – si scoprirà soltanto successivamente. Ciò significa che vien meno qualsiasi presupposto per continuare ad affermare, pregiudizialmente, che si riceva a priori dal cielo, “per grazia ricevuta” o, come sostiene qualcuno, per “equa compensazione divina”, poteri soprannaturali o paranormali. È doveroso, invece, restare sempre con i piedi per terra e rifarsi costantemente all’osservazione scientifica e alle statistiche sistematiche. La “normalità” della vita o, per contro, “l’accentuarsi dei limiti dell’handicap”, dipenderanno, in larga parte, dall’efficacia e dalla tempestività degli interventi educativi riguardanti il piano motorio-sensoriale, posti a disposizione del piccolo. Ciò premesso, è assolutamente inopportuno – soprattutto durante il primo anno di vita del bambino – affidarsi al così detto “fai da te”, ma neppure ai consigli di quei tanti che, pur essendo ancor più sprovveduti, si sentono autorizzati a minare il futuro cammino di quella creatura.Tutti sappiamo che il primo compito educativo spetti alla famiglia. L’assunto è talmente ovvio che nessuno, almeno credo, dubiterà di ciò. Ma, con quel senso di profonda responsabilità che mi caratterizza, mi domando: quale intervento educativo la famiglia potrà assicurare al suo piccolo, se essa stessa non possiede alcuna preparazione specifica o non riceve dagli enti preposti alcun sostegno psicologico? A causa di tali carenze o inadempienze, infatti, “scoperta” la disabilità del figlio, accade molto spesso che i genitori – ignari del comportamento da tenere – lascino comodamente e per lungo tempo il piccolo nella sua culla o nel suo lettino, conseguenza logica di quel comune pensare: … “tanto, non vede il “poverino” …!!!Sono considerazioni simili, talvolta inconsce, ma qualche volta espresse persino esplicitamente, che innescano una pericolosa spirale di valutazioni e di errori comportamentali esattamente opposti a quanto andrebbe affrontato con immediatezza. I genitori non si sentano colpevolizzati dai miei scritti o dalle mie riflessioni, tutt’altro. So molto bene che i loro comportamenti – sia pure non sempre appropriati per i fini da conseguire – non scaturiscono affatto da una insufficienza di affetto nei confronti del piccolo; il loro modo di agire, semmai, è dettato da un accentuato senso di responsabilizzazione, anche se, però, nella maggior parte dei casi, produce un inopportuno “comportamento iperprotettivo” nei confronti del piccolo. I genitori, tuttavia – anche se impreparati e sgomenti per l’imprevisto evento luttuoso – si adopereranno ugualmente per essere di aiuto al loro bambino. In questo primo periodo, molto probabilmente, essi limiteranno il rapporto comunicativo con il piccolo inviandogli soltanto messaggi vocali i quali, pur svolgendo inevitabilmente una funzione essenziale, da soli non potranno mai costituire un significativo e adeguato processo educativo, poiché saranno insufficienti per “ricreare” l’ambiente familiare. Il messaggio vocale o sonoro è senz’altro di grande aiuto per la localizzazione a distanza di una persona o di un oggetto (se sonoro), ma resterà pur sempre un elemento singolo e insufficiente per potenziare una più ampia ed affinata educazione sensoriale. Del resto, non sarebbe neppure auspicabile che tale educazione si fondasse esclusivamente o prevalentemente sull’aspetto uditivo-sonoro, poiché in tal modo si potenzierebbe soltanto “l’aspetto statico dell’orientamento”, ma non quello “dinamico”. Tale prima fase, infatti, anche se importante, rischierebbe di restare un momento molto limitato se non venisse accompagnato, in maniera imprescindibile e sincronica, dall’altra fase: quella “partecipativa e dinamica”.Nell’educare la sensorialità uditiva, infatti, è opportuno tener presente che ascoltare e distinguere le voci dei familiari, i rumori prodotti dagli oggetti, sia di quelli più prossimi, sia di quelli provenienti da distanze maggiori o dall’ambiente esterno, è sì importante e doveroso, ma si abbia l’accortezza di suscitare sempre nuovi stimoli, affinché l’attenzione del piccolo sia costantemente pronta e vigile a cogliere quanto gli accade attorno. Per non essere ripetitivi e per offrire motivazioni sempre più numerose e diversificati, sarà opportuno, con l’aiuto dei genitori, ovviamente, trasferire il piccolo da un ambito domestico all’altro. Allo stesso modo, sarà opportuno porre tra le sue mani pupazzetti in gomma o in morbida plastica, sollecitando il piccolo a toccare e a conoscere oggetti nuovi, “dando vita” a quanto avvertito sensorialmente. Il “sentire” (in situazione statica) e il “sentire” (in situazione dinamica) devono costituire una fusione simbiotica: due momenti sensorialmente distinti, ma concretamente integrati tra loro.Il bambino, avviandosi sensorialmente verso la conoscenza del mondo, si affiderà inizialmente e in prevalenza all’ascolto dell’ambiente domestico che, se pur apparentemente povero e limitato, sarà di rilevante supporto nelle fasi successive che si arricchiranno, giorno dopo giorno, di nuove esperienze quotidiane. Con il passar del tempo – tempo prevedibile in anni di personale sperimentazione – la persona apprenderà persino ad “avvertire a distanza la presenza degli oggetti” e a “discriminarli”, captando le oscillazioni o gli spostamenti minimi dell’aria nell’ambiente.Non ci troviamo assolutamente di fronte a fenomeni sovrumani o paranormali; avvertire la presenza di ostacoli è semplicemente una questione di “educazione sensoriale specifica” e costante. Il volto, la fronte e i padiglioni auricolari, in maniera particolare, si educheranno a cogliere le sia pur impercettibili “sensazioni anemestesiche” e “cinestesiche” dell’aria sempre in movimento. Nulla di nuovo, considerato che parlo di quelle stesse onde sferiche (e non circolari) mediante le quali chiunque percepisce suoni e rumori. Il privo della vista, però – e non certo per grazia ricevuta, ma per aver dovuto affinare la sua percezione sensoriale attraverso l’esercizio costante – non soltanto può avvertire la presenza degli ostacoli, percependone lo spazio pieno o occupato, ma riesce a costruirsi mentalmente una “mappa topografica dell’ambiente”, collocando ciascun oggetto nel suo spazio euclideo, rispettando le reali  distanze fra un oggetto e l’altro, ma anche, e direi soprattutto, la distanza tra sé e ciascun oggetto.Trattando in precedenti miei scritti “dell’orientamento immaginativo-motorio”, mi sono più volte soffermato sull’imprescindibilità di tale aspetto educativo sensoriale. In essi rilevavo, infatti, che “l’insieme”, la “sintesi” o la “fusione” di tutte le sensazioni provenienti dai “sensi residui” costituiscono la “percezione aptica”, quella particolare capacità che si potrebbe sviluppare in chicchessia, ma che la persona priva della vista affina opportunamente per “orientarsi nello spazio euclideo” e per “percepire” e “discriminare”, ad una ragionevole distanza, gli oggetti presenti nell’ambiente.