(a cura di Stefano Centonze)


Emozioni e apprendimento sono collegati poiché sono entrambi processi della nostra mente. Esattamente, i due livelli si incontrano e sono collegati sul piano della relazione.
Davanti a relazioni positive, come quella che instaura un educatore che insegna con il sorriso e infondendo fiducia, essi convergono. Diversamente, relazioni poco gratificanti o, peggio, inadeguate, portano a una distorsione nella costruzione della realtà (che appare instabile) e sono molto
spesso alla base dei deficit del linguaggio e dell’apprendimento. Ne derivano disturbi emotivi e comportamentali che nel tempo si accentuano e diventano sempre più evidenti.

Le emozioni

Tra tutte le possibili definizioni, ad integrazione di quanto
io non abbia già fatto in precedenti articoli di cui consiglio
la lettura, mi piace citare il lavoro del 2009 di Dario Grossi
e Luigi Troiano che, nei Lineamenti di Neuropsicologia clinica
(Carocci Editore), parlano di emozioni come risposte
automatiche dell’organismo di una intensità e durata tali
da poter essere distinte dalle risposte riflesse e dagli stati
dell’umore (notoriamente più lunghi). Tali risposte, influenzate
da quelli che la psicologia chiama “eventi emotigeni”,
si esprimono in modificazioni fisiologiche (sudore, rossore,
aumento della pressione sanguigna e del battito cardiaco
ecc.) che, a loro volta, provocano determinate reazioni
sul piano dell’espressione mimica e del comportamento
(Lewis, Haviland – Jones, Barrett, 2008).
Ulteriori classificazioni delle emozioni derivano dalla loro
differenziazione in quanto:
• stato (una persona arrabbiata vive uno stato di collera);
• processo, poiché riguarda la complessa dinamica di interazioni
tra fisiologia, cognizione ed eventi esterni e fonte indiretta di conoscenza.
Con la psicologia cognitivista si arriva, infine, nello studio
sperimentale delle emozioni, a indagarne le due dimensioni
essenziali:
• quelle espressive e motorie, da una parte;
• quelle cognitive dall’altra.


L’apprendimento


L’apprendimento è il processo mediante il quale si acquisiscono conoscenze sulla base di nuove esperienze. In essoconfluiscono aspetti come:
• strategie cognitive;
• stili personali di apprendimento;
• esperienze, sia individuali che collettive;
• modelli di riferimento;
• informazioni dall’ambiente circostante. Componenti sociali, culturali ed emotivi, dunque, condizionano il processo di costruzione della conoscenza. Così, a partire dalle prime relazioni del bambino in famiglia, si struttura anche nella vita adulta un sistema di apprendimento (che, in sé, è un processo complesso e multifattoriale) che si fonda sulle esperienze e sulla qualità dei rapporti con gli altri. Da qui dipendono, infatti:

  • l’apertura;
  • la curiosità e la capacità di creare nessi e di decodificarne
    i significati.
    Gli stati della mente e l’apprendimento
    Apprendere significa, dunque, acquisire nuove conoscenze.
    Un atto che, in sé, comporta la capacità di pensare. Capacità
    che influenza i vissuti emotivi e che, d’altro canto, è
    influenzata da essi. Il legame tra queste due dimensioni è
    più evidente
    • da una parte, quando si valuta come ci si sente quando
    si apprende;
    • dall’altra, come si apprende quando ci si sente bene.
    Gli stati d’animo, d’altro canto, come spiega Daniel Goleman,
    sono fortemente influenzati dal modo di pensare e
    percepire gli eventi, da ciò che viene trattenuto in memoria
    e dalle decisioni che si prendono.
    Tuttavia, dato che è impossibile “vedere” le emozioni in
    azione, esse possono essere dedotte solo attraverso l’osservazione
    del comportamento di chi le prova. Trascorriamo,
    infatti, buona parte della nostra vita a cercare di
    comprendere intenzioni, desideri, stati d’animo, speranze,
    sentimenti degli altri e quanto le loro azioni siano motivate
    da stati mentali non osservabili ma almeno desumibili da
    comportamenti più o meno manifesti.
    La Teoria della Mente
    Così, se, ad esempio, vediamo qualcuno arrabbiato, siamo
    naturalmente portati a collegare questo comportamento a
    un’agitazione interiore come conseguenza di delusione o
    paura. Non serve che la persona in collera ce lo dica. Allo
    stesso modo, possiamo immaginare, osservando l’espressione
    di paura sul volto di qualcuno, che sia pronto a passare
    all’azione (in genere, fuggire) per risolvere quello stato
    d’animo. Certo, occorre aver sviluppato un modello dei contenuti
    della mente da persona adulta che faccia prevedere
    in maniera sana gli stati mentali delle altre persone. In altre
    parole, occorre tenersi uno spazio di dubbio per via della
    soggettività dell’esperienza (chi interpreta gli stessi eventi
    che vengono osservati) ed augurarsi che l’osservatore sia
    così consapevole delle sue emozioni, prima di tutto, da non
    fare confusione nell’incontro tra il suo sistema emozionale
    e quello altrui. Che è, poi, quello che esprime, con parole
    semplici, la cosiddetta Teoria della Mente.

    L’articolo continua sul Manuale “L’alfabeto degli psico-pedagogisti” di Elisabetta Patruno