Prof. e Tiflologo Giustino De Matteis

La maggior parte delle persone ha favorito e favorisce ancora oggi l’insorgere di numerosi pregiudizi, di preconcetti, di stereotipi, di incomprensibili e ingiustificabili paure. La non realistica conoscenza della persona priva della vista ed una scarsa cultura tiflologica determinano, conseguentemente, manifestazioni e atteggiamenti talvolta bizzarri e alquanto contraddittori e persino incomprensibili non soltanto nei confronti della disabilità, ma anche delle persone non vedenti. Vi è da aggiungere, poi, che alcune leggende o credenze popolari – che non appartengono soltanto alle classi meno acculturate – sono talmente radicate, tanto da far provocare in chi vede persino un inconscio rifiuto o imbarazzo ad avvicinare o a comunicare con la “persona priva della vista”. È possibile che nella memoria di chi vede restino impressi soltanto quegli atteggiamenti, talvolta impacciati e goffi – quelli che più avanti definiremo “ciechismi o blindismi” – messi in atto da chi non vede, frutto di una educazione sensoriale del tutto inadeguata e sconveniente ricevuta dal bambino durante la sua infanzia. Tali atipici atteggiamenti, però, appartengono unicamente a quello specifico soggetto, ma non sono assolutamente trasferibili o riscontrabili in ogni altra persona priva della vista. Tutto ciò, purtroppo, determina quasi inconsapevolmente l’assenza o la difficoltà di instaurare un rapporto di stima, di simpatia, di naturale accettazione nei confronti dei non vedenti. Costoro, per contro, avvertendo tale clima, maturano sentimenti di diffidenza e di sfiducia nei confronti di coloro che vedono.
È innegabile, infatti, che le persone costrette a convivere con la disabilità visiva, spesso sono costrette ad affrontare almeno due ordini di difficoltà che non sempre si riesce a tenere separati: quello degli impedimenti e dei disagi reali, connessi alla biologicità del danno fisiologico e quello attinente ai pregiudizi psicologici e culturali che trovano facile alimento nella diffusa disinformazione e che, in taluni casi, sono ancor più resistenti e difficoltosi da sradicare.
Le opinioni gratuite e spesso infondate di tanti, poi, che, pur non avendo alcuna conoscenza della disabilità visiva, si arrogano il diritto di blaterare e di diffondere i germi di una infida disinformazione, continuano ad innalzare un muro impalpabile di diffidenza e di ingiustificata apprensione.
Certo, oggi non è più contemplato o, meglio, non è più ufficialmente praticato il “principio eugenetico” secondo il quale gli spartani precipitavano dal dirupo del monte  (Taigeto) i bambini nati deformi. Ciò nonostante, però, la dignità delle persone con disabilità, frequentemente, è offesa e disconosciuta da pregiudizi molto severi, radicati ancora in alcune fasce della società contemporanea.
La mia lunga esperienza nel campo dell’educazione e dell’istruzione degli alunni non vedenti mi fa ritenere, poi, che tali pregiudizi sono ancor più

accentuati nei confronti dei ciechi e che essi non albergano o non si rinvengono soltanto tra gli strati sociali meno abbienti o meno acculturati. Tra tutte le persone con difficoltà, infatti, quelle che non vedono subiscono in maniera ancor più accentuata l’ostracismo psicologico, poiché in ciascun privo della vista si ritiene di ravvisare gli stigmi o il marchio palese di una punizione divina.
Dinanzi a tali negativi sentimenti, il mio impegno – che si esplicita mediante le prassi di una consapevole e mirata educazione sensoriale – mira a scardinare e superare questo status di indifferenza, di apatia o di passiva accettazione fatalistica.
Le scienze umanistiche – e la psicologia in maniera più determinante, assieme alle tante testimonianze di persone minorate della vista, affermatesi in maniera superlativa nei vari settori professionali – devono impegnarsi e contribuire ancor più efficacemente a rompere schemi mentali così angusti. Ritengo che sia giunto il momento, infatti, di colmare questa inconcepibile disinformazione, fonte e causa di persistenti giudizi negativi e preclusioni, riguardanti le persone prive della vista.
È questo l’obiettivo fondamentale che sostiene costantemente l’impegno e l’interesse del mio lavoro. La mia unica aspirazione da anni consiste nel far veicolare una nuova cultura riguardante la disabilità visiva, smantellando alle radici quei tanti pregiudizi, preconcetti e stereotipi, secondo i quali la persona priva della vista non ha la capacità di sviluppare funzioni intellettive alla pari di chi vede.
Pur non intendendo assolutamente caricare alcuni di maggiori responsabilità rispetto ad altri, questo mio lavoro si rivolge in particolar modo alle famiglie che hanno nel proprio seno bambini privi della vista e ai tanti Docenti ai quali è sì demandato il compito di accompagnare detti alunni nel normale processo di crescita conoscitivo e culturale e, soprattutto, a far conseguire loro una doverosa e soddisfacente autonomia personale.
Sembra chiaro che, a tal fine, il contributo massimo può pervenire dall’opera della scuola che, con la sua incisiva azione educativa, deve affinare e migliorare il processo dell’integrazione scolastica e sociale, educando tanto gli alunni, tanto le famiglie, al naturale processo di inclusione scolastico e sociale.
Ho buone ragioni per credere che le numerose diffidenze, ancora non superate e non sempre imparziali e giustificabili nei confronti delle persone prive della vista, troveranno sicuramente una positiva inversione di tendenza soltanto quando la cultura ufficiale si farà carico di dimostrare, in maniera convincente e sistematica, che esse sono semplicemente il frutto di un certo disagio culturale o di una inappropriata didattica tiflologica.
Soltanto al termine di tale processo le tante barriere psicologiche scompariranno; soltanto allora anche il privo della vista sarà considerato una “persona” al pari delle altre; una persona in grado di tutelare e difendere i propri diritti, ma anche di onorare e rispettare i propri doveri, contribuendo anch’egli al miglioramento ed alla crescita della società.In presenza di un rinnovato convincimento, pertanto, tutte le persone saranno poste nelle concrete condizioni di poter dare il meglio di sé, in proporzione, ovviamente, alle proprie personali capacità. Conseguentemente, anche la persona priva della vista non desterà più alcuna inquietudine interiore, poiché – se pur mancante della funzionalità visiva, elemento assolutamente importante, ma non condizionante la propria autonomia e il proprio processo conoscitivo – anche ella sarà considerata in funzione dei valori intrinseci ed universali dell’“essere persona” e, quindi, riconoscibili ad ogni “essere umano”.