Le discipline come spazio formativo e di consapevolezza
di Maurizio Muraglia (Docente di Scuola Secondaria di secondo grado)
Gli studi sull’orientamento formativo datano già alcuni decenni. Costrutti quali “didattica orientativa” o “funzione orientativa delle discipline” hanno costellato il percorso professionale di molti insegnanti, e ciò spiega le ragioni per cui da più parti si è levata una gigantesca perplessità sulle ultime misure ministeriali, volte a spostare il locus orientans, si potrebbe dire coniando un neologismo ad hoc, dalla sua sede naturale, che dovrebbe essere l’insegnamento curricolare, a situazioni specifiche, assegnate a specifiche figure incaricate di “accompagnare” singoli percorsi o progetti di vita.
Didattica orientativa e continuità educativa
Restituire la dimensione orientativa all’azione di insegnamento significa attribuire la titolarità dello stesso ai docenti curricolari, ai consigli di classe e al sistema dei saperi disciplinari, così come risultava chiaro nella letteratura prodotta sull’argomento a cavallo dei due secoli, stimolata anche dalla Direttiva ministeriale n. 487/1997, che non casualmente, all’art. 2 comma 1, recitava: “nell’esercizio della loro autonomia, le scuole di ogni ordine e grado prevedono nel programma di istituto attività di orientamento che i consigli di classe inseriscono organicamente nei curricoli di studio, valorizzando il ruolo della didattica orientativa e della continuità educativa”.
È purtuttavia evidente che la connotazione orientativa della didattica e del curricolo non può essere data per scontata, ma richiede condizioni specifiche che proprio in questa fase politico-pedagogica – forse alquanto “disorientata”, paradossalmente – è opportuno richiamare.
Orientamento specifico e orientamento generale
Intanto, è opportuno premettere che potremmo distinguere l’azione di orientamento, sulla scorta dei già citati studi di oltre due decenni fa, in orientamento specifico, che attiene ad uno spazio più circoscritto e necessita di consulenze dedicate, e orientamento generale o formativo, che riguarda proprio l’età evolutiva e l’esperienza scolastica. Il secondo, da assegnare alla didattica curricolare, rappresenta il requisito essenziale per elaborare un progetto di vita.
In uno studente “orientato” si possono individuare tre caratteri essenziali: la riflessività, la volitività, e la cooperatività. Un allievo riflessivo, volitivo e cooperativo può rappresentare il profilo in uscita di un curricolo capace di generare negli studenti consapevolezza di sé stessi, del proprio modo di affrontare i problemi, del proprio modo di apprendere (riflessività); fedeltà al proprio compito (volitività); contributo alla crescita della comunità di cui si fa parte (cooperatività).
La disciplina dentro l’aula
A quali condizioni il sistema dei saperi disciplinari può favorire la costruzione di questi caratteri? Risulta necessaria una precisazione sul senso della presenza nelle aule scolastiche delle discipline. Cos’è una disciplina dentro l’aula? Sintetizzando una riflessione antica, che fu certamente molto più in auge – e soprattutto sostenuta a livello ministeriale – alla fine degli anni Novanta (basti pensare soltanto ai lavori della commissione dei Saggi coordinata da Roberto Maragliano), si potrebbero individuare quattro focus di attenzione.
Si potrebbe dire che una disciplina scolastica costituisce un modo di osservare criticamente, ma anche di vivere l’esperienza quotidiana; un repertorio di pratiche culturali e di riflessioni sulle pratiche; un allenamento al vincolo conoscitivo del pensiero e del linguaggio; uno spazio costellato di problemi e sfide cognitive da affrontare comunitariamente.
La disciplina come spazio formativo
Quando una disciplina si connota quale spazio formativo, essa dunque è occasione per i discenti di misurarsi di fronte alle difficoltà poste dai vincoli disciplinari (procedure, linguaggi, concetti strutturanti), ma anche:
- di attivare risorse materiali e umane per affrontare le stesse;
- di riflettere sull’uso sociale della disciplina studiata in classe;
- di riscoprire la realtà quotidiana con gli occhi della cultura, ovvero trasformare il vissuto in esperienza riflessa.
Con tutta evidenza soltanto una mediazione didattica consapevole – e quindi a sua volta “orientata” – di questa necessità epistemica e formativa consente di mettere in scena l’incontro tra chi impara e le discipline dell’apprendimento. E quindi di suscitare la domanda-chiave: perché sto studiando queste cose? come reagiscono con il mio modo di pensare? con quello della mia famiglia?
Processo graduale di autoconsapevolezza
Si potrebbe sintetizzare il tutto dicendo che l’orientamento è il processo graduale di autoconsapevolezza del proprio modo di reagire agli stimoli culturali che si ricevono in classe e a scuola a cura dei propri insegnanti. L’assunto contiene due focus di attenzione.
- Il primo è dato dal costrutto “stimoli culturali”, da considerare concetto-ponte che permette di transitare dalle didattiche disciplinari all’autorientamento. Si tratta del necessario approdo formativo delle discipline scolastiche. Una disciplina nata nell’ambito della ricerca accademica si trasforma in cultura nel momento in cui incontra l’esperienza conoscitiva dei soggetti in formazione. E la regia di questo incontro appartiene ai docenti curricolari perché ad essi compete la mediazione didattica.
- L’altro focus è dato dall’idea di reattività, che attiene maggiormente al versante degli apprendenti. L’autorientamento è un frutto della reattività ad un fare scuola con determinate caratteristiche culturali, prodotte dalle discipline: problematizzazione, interazione comunicativa, rielaborazione del sapere, modellizzazione del sapere. Sono caratteristiche che sollecitano atteggiamenti di riflessione e di trasferibilità delle competenze, tali da rendere l’esperienza d’aula un vero e proprio laboratorio culturale, con evidente saldatura e identificazione tra didattica laboratoriale e didattica orientativa.
Le variabili della competenza orientativa
Cosa avviene pertanto negli alunni che studiano in un ambiente di apprendimento con le caratteristiche culturali qui suggerite? Se si vuole parlare di competenza orientativa è possibile declinarla in quattro atteggiamenti cognitivi e metacognitivi:
- consapevolezza dei nuclei portanti e dei concetti strutturanti una disciplina;
- consapevolezza di propri punti di forza e dei propri limiti in un determinato dominio disciplinare;
- capacità di utilizzare gli errori come risorse;
- competenza valutativa sul proprio lavoro.
In questo panorama è possibile scorgere la reattività “autorientante” degli studenti agli stimoli culturali prodotti da un uso operoso e riflessivo dei saperi scolastici, in assetti comunicativamente capaci di rendere gli studenti protagonisti e “manutentori” del proprio apprendimento.
Orientamento come architettura curricolare
In conclusione, non mi parrebbe azzardato affermare che la competenza in gioco per favorire l’orientamento a scuola non sia prioritariamente psicologica, ma epistemologica e pedagogico-didattica. È la tipica competenza professionale dei docenti che operano in modo formativo attraverso l’architettura curricolare. Ora, è possibile che tra i tutor e gli orientatori di recente nomina si annidino proprio i docenti che utilizzano le discipline in funzione formativa e quindi orientativa, ma è evidente che il loro compito si sposta su un versante diverso che, a nostro parere, potrebbe diventare anche ambiguo. Sia la loro presenza che la loro assenza nel consiglio di classe di pertinenza potrebbero entrambe rappresentare un problema per diverse ragioni. Nel primo caso, potrebbe non essere chiaro il contributo che tale figura dovrebbe aggiungere alla “cura” agita dagli altri colleghi e dal coordinatore di classe. Nel caso di assenza, l’estraneità ai processi formativi del team docente potrebbe creare dinamiche controproducenti che andrebbero auspicabilmente monitorate.
Una nota conclusiva.
Ai consigli di classe viene comunemente assegnata, com’è noto, una figura di coordinamento. Se tale figura è sempre individuata in modo oculato (esperienza e comprovata competenza pedagogico-didattica, corroborata magari da percorsi formativi mirati), e compensata con un adeguato riconoscimento economico, l’orientamento praticato nelle aule scolastiche potrebbe non avere bisogno di ulteriori figure aggiuntive. La stessa mission del nuovo tutor, ancora non ben precisata, potrebbe essere essa stessa a rischio di burocratizzazione.