di Elisabetta Patruno

Negli ultimi anni numerosi scienziati hanno condotto studi sperimentali sugli effetti cognitivi e fisiologici che l’uso intensivo di Internet comporta. Su questo argomento si sofferma il libro di Carr, intitolato, nella sua traduzione italiana, Internet ci rende stupidi?                                           Tema quotidianamente dibattuto secondo le più disparate angolazioni, l’effettivo impatto di Internet sulla civiltà contemporanea risulta difficile da valutare in modo esaustivo. Occorre comunque confrontarsi con questa impegnativa questione, che, alla luce della sempre più massiccia presenza del web nelle classi di ogni ordine e grado, riveste grande interesse per chi, a vario titolo, si occupa di educazione e istruzione. Dall’analisi del libro di Carr si evince che l’uso della Rete sta cambiando i processi cognitivi di apprendimento di chi ne fa uso. Ciò fa riflettere sulle diverse modalità di acquisizione delle informazioni che ogni individuo utilizza per conoscere. La conoscenza nel dizionario pedagogico si trasforma in abilità e competenza, quando poi l’individuo la utilizza per dare significatività al suo agire e per risolvere situazioni problematiche costanti e continue. Dunque la  conoscenza ha bisogno di uno spazio di riflessività personale, di rielaborazione , di sviluppo del pensiero critico. E sono d’accordo nel sostenere , ciò che dice il sociologo, che il problema non esiste nell’informazione acquisita dal web, ma risiede nella velocità, nel flusso incessante con cui le informazioni si susseguono, si accavallano, si annullano, si rigenerano. Tale flusso non permette alla mente umana di dare significatività a ciò che si apprende, di sviluppare un proprio pensiero, di trovare delle soluzioni in modo autonomo alle situazioni reali ovirtuali.                                                                                                              La virtualità nell’apprendimento potrebbe risultare facilitatrice (risolvere i problemi al posto nostro), in realtà genera saperi frammentari, labili, globalizzati. La sfida dunque sarebbe nel cercare di alimentare la nostra mente e dare pienezza all’esistenza? In che modo?                        Facendo ciò che nella pratica quotidiana molti di noi non fanno più: riconquistare tempo e spazio, leggendo, passeggiando, incontrandosi con gli amici, ascoltando musica… insomma crearsi momenti  che consentano un periodico distacco dalle tecnologie senza subire attacchi di panico. 

Si consiglia la lettura del libro dal titolo omonimo!